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IO SONO AYCHA

Io sono Aycha.

Sono nata in Marocco e mi sono trasferita in Italia molto giovane: ho frequentato la scuola qui e a diciannove anni ho sposato l’uomo che amo. Dopo essermi sposata, mi sono trasferita prima in Calabria e poi a Cadoneghe, in provincia di Padova. Vivo con mio marito e miei figli, due femmine e un maschio. Ora ho ventinove anni e sono felice, nonostante tutto. Sono rimasta incinta per la quarta volta, ma mi è stato detto che non avrei potuto proseguire la gravidanza. Sarà doloroso perchè  mi dovrò separare da una parte di me che amo; tuttavia è giusto così: il bambino che ho in grembo non potrà crescere senza di me e la mia famiglia ha bisogno di una donna che sia madre e moglie. Mi dico che supererò anche questa prova, perché sono circondata da persone che mi vogliono bene. Solo che a volte qualcosa non va: mio marito è geloso, teme che io  possa tradirlo, che possa perdere di vista il mio obiettivo di prendermi cura di lui. Dice che devo essere una buona moglie e per questo non mi permette di truccarmi e vestirmi come preferisco, ma nemmeno di parlare con i miei parenti in Sicilia.

È sempre stato così, ma più passa il tempo e più il mio rapporto con lui peggiora. Ogni volta mi ripeto che è naturale che un uomo sia geloso, che è un sintomo del fatto che mi ami. A volte ho strane idee in testa, penso di prendere i bambini e andarmene. Poi mi dico che sono una sciocca a pensarlo, che mio marito mi ama, nonostante il suo comportamento. Che importa se posso dare ai miei figli una famiglia dove coltivare il proprio futuro?

Purtroppo però adesso abbiamo cominciato a litigare spesso. Ogni volta è peggio, ogni volta temo che i bambini ci sentano e abbiano paura. Ma non demordo: gli assicuro che gli ubbidirò e non opporrò resistenza alla sua violenza. Anche se sono incinta, anche se sto male e necessito cure mediche; penso che anche questo l’abbia reso più irascibile. Ma proprio oggi mi  ha spinta sul letto e mi ha detto che vuole uccidermi con un coltello. Ed è allora che ho avuto paura, per me e per i miei figli, che non possono crescere con un padre così violento. Non possono rischiare di crescere senza la loro mamma. Per il loro bene, non c’è più spazio per il perdono.

Allora oso, e denuncio ai servizi sociali la violenza che subisco. So che, se mio marito scoprirà la mia denuncia, peggiorerà tutto, ma devo tentare ogni strada possibile. Mi trasferisco a casa di una mia amica, dove so che sarò al sicuro con i miei figli. Ora posso uscire, prendere i miei figli da scuola, passare del tempo con loro liberamente. Posso farmi la doccia, pettinarmi, truccarmi. È finita, ho riavuto la mia libertà. Ma per lui no, per lui è solo l’inizio. Inizia ad avvicinarsi ai bambini. Li va a prendere a scuola, mi aspetta lì davanti  e mi chiede di parlargli, di perdonarlo. Più di una volta mi dice che ha sbagliato e che possiamo ricominciare. Sarebbe bello tornare all’inizio, quando io ero poco più che una ragazzina e lo vedevo come un compagno perfetto. Ma per il bene dei nostri figli, devo andare avanti senza di lui. Un giorno sono andata all’incontro nel centro antiviolenza di un paese vicino e racconto tutto. Racconto delle  gelosia di mio marito, di come lui mi impedisca di fare qualsiasi cosa, delle telecamere che ha installato a casa per tenermi sotto controllo. Per uscire da questa situazione, ho chiesto allora un lavoro e informazioni per il divorzio. Potrò avere un avvocato, anche se sarà difficile. Sono fiduciosa che io e i miei figli potremo spostarci in un centro protetto, dove nessuno potrà contattarci, ma mi viene detto che ci vuole tempo per garantire una sistemazione del genere. Spiego anche che devo interrompere la mia gravidanza.

Niente può andare meglio, perché nel frattempo vengo contattata dal fratello di mio marito, che mi dice che anche lui è favorevole al divorzio.

Dopo qualche giorno mi sono sentita male e sono stata costretta ad andare in ospedale. I medici hanno interrotto la gravidanza d’urgenza, dicendo che è stato un miracolo che io stia bene. Ma a me sembra di essere tornata in un incubo. Mio marito è andato a prendere i bambini a scuola e li ha riportati a casa sua. Sono costretta a tornare, a rivivere tutto. Non contatto il centro antiviolenza, so che, non appena starò meglio, potrò riprendere il percorso e tornare a casa, in Sicilia.

Io sono Aycha, la donna che ha avuto il coraggio di denunciare e di riprendere in mano la

propria vita.

Io sono Aycha, la donna che ha avuto paura per i propri figli e ha messo a repentaglio la

propria incolumità per loro.

Io sono Aycha, e sono stata uccisa da mio marito la notte tra il ventiquattro e il

venticinque novembre, davanti alla più piccola dei miei figli, di soli quattro anni, con un

arma da taglio. Mio marito, l’uomo che io amavo sopra ogni altro e che mi ha ucciso nel

sonno. Io lo amavo, lui no.

Non era normale. Niente era normale.

Ogni giorno decine di donne vivono la mia stessa storia. Ogni giorno decine di bambini

restano orfani di femminicidio. Senza una madre che li consoli, con un padre assassino e

una vita di difficoltà, reclusione e traumi davanti.

Ogni giorno lo Stato si scorda di loro, di NOI che abbiamo perso la vita nelle mani di chi

credevamo di amare.

Ogni volta che sentiamo una notizia del genere preghiamo sia l’ultima, ma ce ne sarà

sempre un’altra, se non si educano i propri figli.

Per i bambini del futuro, perché non restino orfani.

E per le donne che, come me, sono troppo spesso solo un numero in televisione.

CLASSE 2° D Liceo Scientifico

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